24 novembre 1526. Mattina nebbiosa nella piana manotovana di Governolo. Le truppe di due eserciti si frinteggiano, pronte a darsi battaglia. Da una parte i soldati dell’Imperatore Carlo V d’Asburgo, dall’altra quelli del re di francia Francesco I e del suo alleato, papa Clemente VII (Giulio de’ Medici). Il fumo dei fuochi degli accampamenti si mescola con la nebbia; gliartiglieri hanno caricato i cannoni e le colubrine e, con le torce accese in mano, aspettano l’ordine di incendiare le micce. Fanteria e cavalleria sono schierate: l’aria sa di fumo, di stallaccio, di umido, ma soprattutto c’è un odore particolare, inconfondibile, che precede tutte le battaglie: quello della paura. I comandi vengono gridati, le bocche di fuoco vomitano palle di ferro, la fanteria avanza e la mischia scoppia sanguinosa.
Al comando della fanteria pontificia fiorentina e di un migliaio di cavalieri, schierato contro i Lanzichenecchi dell’Imperatore Carlo V, c’è Giovanni de’ Medici, conosciuto ormai come Giovanni delle Bande Nere. Il soprannome glielo avevano dato i suoi soldati quando, alla morte di Papa Leone X (al secolo Giovanni de’ Medici, secondo figlio del Magnifico e di Clarice Orsini) al quale era devotissimo, Giovanni fece listare a lutto le proprie insegne. Non è un momento molto felice questo per il prode Capitano: settimane addietro una palla di archibugio gli ha sfiorato la gamba destra, che circa un anno prima era stata compromessa da una brutta ferita. Ma non sono solo i guai fisici che li infastidiscono: c’è il caos che regna tra le truppe, le rivalità tra Comandanti, la scarsa funzionalità della catena di comando. Giovanni ha minacciato più volte di andarsene con i suoi uomini, ma non l’ha fatto: è lì che si batte per il Papa contro l’Imperatore.
Il frastuono della battaglia è altissimo, la mischia feroce; colpi di archibugio, di colubrina, di cannone; lance , mazze, picche, spade che cozzano, squarciano, spaccano uomini e cavalli. Il fischio della palla di falconetto (un cannone di piccolo calibro) non si sente in mezzo a quel clangore infernale, ma il proiettile centra in pieno la gamba destra di Giovanni, quella malandata. La ferita è grave e bisogna amputare. A dirglielo è Pietro Aretino, che fa parte del suo seguito. Giovanni delle Bande Nere ha fama di essere guerriero audacissimo, grande stratega, uomo di eccezionale coraggio. Forse non è proprio la realtà, ma sul suo conto sono nate alcune leggende che avvallano questi giudizi.E proprio al momento dell’annuncio dell’Aretino, suo fedelissimo, Giovanni de’ Medici dà mostra di stoico coraggio. Si narra che rifiutasse qualsiasi tipo di anestesia e che reggesse egli stesso la torcia per illuminare la stanza mentre i chirurghi gli amputavano l’arto. E non volle che nessuno lo reggesse durante l’operazione. Purtroppo neppure questo serve a salvargli la vita: la cancrena è troppo avanzata e, dopo quattro giorni di agonia terribile, l’ Invincibile, come lo chiamano i nemici, muore nella casa di Luigi Gonzaga.
Ha 28 anni, lascia la moglie Maria Salviati e un figlio di 7 anni, Cosimo.
(fonte: Capitani di Ventura)